mercoledì 20 giugno 2012

Ti voglio raccontare





Ti voglio raccontare una favola, ma una favola vera, una di quelle che si scrivono a nostra insaputa in un giorno qualsiasi della nostra vita, magari mentre si va frettolosamente a comprare qualcosa in un negozio....su in paese....


Correvo quella mattina d'inverno di dodici anni fa, correvo per andare a comprare una cosa che mi era assolutamente necessaria, e mentre andavo su per la salita col fiatone, mi dicevo che dovevo fare in fretta, perché a quell'ora avrei dovuto essere al lavoro, e terminare una serie di opuscoli che dovevo inserire nel giornalino. Ti dico questo solo per farti capire che quel giorno il mio tempo era molto limitato.
Alla fine sono arrivata e mi sono catapultata dentro il negozio sperando di non trovare la fila. Sono stata fortunata. Davanti a me c'era solo una persona e già veniva servita.
"Buongiorno – ho detto con la poca voce che mi era rimasta, rivolgendomi più che altro a Daisy (è un nome fittizio) che mi guardava dall'altra parte del bancone. Conoscevo abbastanza Daisy, perché sono stata catechista dei suoi figli più grandi per un anno, ma non sono mai stata molto in confidenza con lei, anche se di tanto in tanto abbiamo parlato del più e del meno.
"Buongiorno!" mi avevano salutato entrambe le persone e già dal tono di voce diversa con cui mi era stato risposto avevo capito che Daisy aveva qualcosa che non andava.
La danza della vita la immagino così
Guardai i suoi occhi! Io guardo sempre gli occhi delle persone e anche degli animali. Quante cose nascondono gli occhi e quante altre tentano di rivelare. Mi hanno sempre attirato gli occhi. Essendo un'istintiva è lo sguardo di chi ho di fronte che mi dice le prime cose sul suo carattere, sul suo modo di essere, e in definitiva sul suo vissuto. Gli occhi non ingannano e anche se sono abissi profondi lasciano sempre intravedere qualcosa dell'anima.
E gli occhi di Daisy in quel momento erano specchi di dolore, di rabbia, di sofferenza che aveva necessità di urlare, di venire fuori, di esplodere e che invece restava lì, dentro di loro, mente il viso si costringeva a sorridere al mondo.
Anch'io le sorrisi in risposta con la testa da tutt'altra parte. Era arrivato il mio turno e chiesi automaticamente ciò che mi occorreva, mentre continuavo a guardarla sentendo crescere il disagio dentro di me.
"E' freddo oggi vero?" le dissi tanto per dire qualcosa e rompere un silenzio che stava per diventare imbarazzante
"Davvero è proprio freddo!" rispose lei lentamente ma non aggiunse altro
Presi il mio pacchettino, presi il resto, lo misi in borsa lentamente, come se cercassi di prendere tempo, non non sapevo neanche io perché, poi :
"Ciao, ci vediamo" e mi avviai alla porta.
"Ciao " rispose e io uscii.
Ero sulla strada, mi fermai un attimo come se qualcosa mi trattenesse, poi mi avviai per ritornare al lavoro, un passo dietro l'altro, sempre con quella consapevolezza che dovevo fare in fretta perché di lì a poco sarebbero arrivate le persone che dovevano ritirare il giornalino per portarlo a spedire, e camminando cercai di alleggerire un pò la tensione della quale non conoscevo il motivo, ma che non voleva sapere di lasciarmi, anche se in mezzo ad altra gente cercavo di riappropriarmi della mia quotidianità o almeno così mi sembrò per un attimo perché invece pochi minuti dopo, un'agitazione non voluta, ma latente per tutto quel tempo dentro di me, venne fuori in tutta la sua urgenza e mi costrinse a fermarmi. Ero davanti al negozio del ciabattino, quando avvertii dentro di me quell'impulso che non riuscii a reprimere, un impulso che mi diceva di voltarmi e tornare sui miei passi. Fu il sesto senso? Quel famoso sesto senso che certe volte io credo di avere, ma del quale ho sempre parlato così, per gioco? Non lo so. Campassi cent'anni non riuscirò mai a dare una spiegazione logica a quel momento, anche se da allora in poi il suo ricordo è diventato per me uno dei momenti più dolci della mia vita.
La ragione mi diceva di continuare la mia strada, di non intromettermi, di lasciar perdere, ma il cuore mi suggeriva tutt'altro e anche allora fu l'istinto che mi disse quale voce dovevo ascoltare e senza pensarci due volte, senza sapere perché, senza sapere cosa avrei fatto, mi girai e tornai sui miei passi.
Questa volta affrontai la salita più lentamente, non perché fossi stanca ma perché avevo bisogno di riordinare le idee, di cercare di capire perché stavo tornando indietro, di trovare una scusa plausibile per rientrare in quel negozio e capire se la sensazione di sofferenza che avevo avvertito così intensamente era stata solo frutto della mia fantasia o se invece quel senso di allarme che continuavo a sentire dentro di me era qualcosa di reale.
E se anche avessi visto che sì, c'era veramente una sofferenza che aveva bisogno di aiuto, sarei stata accettata? Che avrei detto per poter arrivare a ciò che avevo visto dietro quegli occhi?
Non riuscivo a trovare una risposta. "Ora entro – mi dicevo – e provo a dire che non era questo il prodotto che volevo....no non funziona! E se c'è gente che faccio? E se mi risponde male? E se....e se...?!"
Con tutti questi se irrisolti che giravano per la mia testa alla fine mi ritrovai nuovamente davanti alla porta del negozio.
Per un attimo, confesso, ebbi la voglia di tornare immediatamente indietro. "Non sono affari miei!" mi dissi....ma fu davvero solo un attimo perché la mia mano era già sulla maniglia della porta e la stava abbassando per entrare.
Ho sempre ricordato quella maniglia e la sensazione che mi dette ma che non so descrivere neanche oggi, se non confusamente. Posso solo dire che fu la parte tangibile di qualcosa che in una maniera o in un'altra avrebbe cambiato i miei rapporti con la persona che stava dietro quella porta.
Entrai.

Fui fortunata. Non c'era nessuno, neanche Daisy e quell'attimo sospeso mi permise di recuperare un pò di calma. Poi dal retrobottega venne la sua voce: "Vengo subito!" e infatti fu immediatamente lì, pallida in viso, senza quel sorriso che aveva avuto prima e che ora non aveva fatto in tempo a stampare in fretta sul suo viso.
Non parve stupita di vedermi nuovamente lì e mi resi conto che forse non si ricordava neanche di aver parlato con me pochi minuti prima.
E infatti mi disse "Buongiorno! ....dimmi....."
Io mi avvicinai di più al bancone e dissi:
"Sono tornata indietro....Posso fare qualcosa per te?" tutti i discorsi che avevo preparato erano naufragati miseramente e mi erano venute fuori solo quelle poche scarne parole. Ma furono sufficienti.
I suoi occhi si riempirono di lacrime in maniera repentina, come se si fosse improvvisamente rotta la barriera che le tratteneva e il torrente che c'era dietro venne fuori con la forza dell'acqua che scende quando è nutrita da un temporale. In quelle lacrime sentii tutta la disperata solitudine che mille parole non avrebbero saputo dirmi.
Eravamo ancora sole e io rimasi in silenzio per darle tempo di allentare la tensione che fortunatamente con quel pianto cominciava ad alleggerirsi.
Fu lei la prima a parlare.
"Andiamo di là!" mi disse e si avviò nel retrobottega. La seguii col cuore in gola sapendo che avrei dovuto ascoltare qualcosa che senz'altro mi avrebbe coinvolto nella sua situazione e per la quale magari non sarei stata all'altezza di dare consigli, ma ero stata io a scegliere di tornare indietro e facendo un grosso respiro, mi detti coraggio e mi tranquillizzai un pò.
Non ci volle più di un minuto per sapere quale era il problema di Daisy. Dopo il pianto liberatorio le parole vennero fuori nitide, distaccate, implacabili.
"Sto per separarmi da mio marito e aspetto un bambino. Ho deciso che questo bambino non lo posso tenere,...non saprei come fare con il lavoro e tutto il resto. Ho già preso appuntamento con l'ospedale per praticare l'aborto....e dopodomani vado...." terminò con quella che mi sembrò una lievissima esitazione.
Mi sentii gelare, più che per le parole, per lo sguardo deciso, quasi cattivo....o forse solo molto sofferente?
Mi attaccai a quella esitazione e senza sapere neanche quello che sarei andata a dire cominciai a parlare, con calma e tranquillità. Ricordo che non feci esclamazioni di stupore, o di orrore, quando mi disse la decisione che aveva preso. Non fui brava io, fu solo l'istinto che mi disse di comportarmi così e da subito mi accorsi che era stato l'atteggiamento giusto, forse perché da me era preparata ad avere un altro tipo di reazione, e accorgersi che invece non mi ero turbata più di tanto per quello che mi aveva detto (il mio cuore galoppava invece!), l'aveva spiazzata e stupita, ma le aveva anche fatto abbassare la guardia.
"Ci possiamo mettere a sedere?" le chiesi più per me che per lei. Sentivo di avere le gambe di pappamolla!
Vagamente intuivo in che ginepraio mi ero messa. In quel preciso istante mi ero fatta carico di una responsabilità che dieci minuti prima neanche sognavo....ma la cosa lì per lì mi sfiorò e poi non mi interessò più di tanto. In quel momento avevo ben altro da pensare!
Per quanto tempo parlai? Per molto credo e la cosa strana, che non mi colpì al momento, ma dopo, quando ci ripensai, fu che in tutto quel tempo nessuno entrò nel negozio. Eppure in genere era molto frequentato.
Delle cose che ci dicemmo trascrivo solo l'inizio:
"Tu hai due problemi e sono grossi entrambi, ma sono due problemi separati, che vanno affrontati uno per uno. Prima pensa al bambino che porti in grembo e poi solo dopo, affronta quello che riguarda tuo marito......" giusto, sbagliato? Non lo so, ma in quel momento mi sembrò che il problema più urgente fosse quello che riguardava la vita.
Cercavo dentro di me le parole più giuste da dire a una donna che in quel momento era disperata, ma mi sentivo la testa vuota, sopraffatta come ero da quel problema che mi trovavo ad affrontare senza nessuna preparazione. Sudavo freddo! Fortunatamente le parole venivano da sé, frutto di convinzioni in me radicate da sempre....
Ma la cosa che mi colpiva di più in quel momento era come ci si intendeva bene senza bisogno di grandi discorsi, senza usare parole difficili. Erano gli occhi che parlavano, i suoi e i miei, me ne rendevo conto e se ne rese subito conto anche Daisy. Dietro i suoi occhi c'erano libri di parole non scritte e io li stavo leggendo in tutta la loro drammaticità.
Lei mi caricò di tutte le sue paure, anche sapendo che io non avrei potuto fare niente di più che darle la mia solidarietà e starle vicino qualunque fosse stata la sua scelta e io le regalai i miei dinieghi alla sua disperata decisione, le mie osservazioni, le mie esperienze di donna e di madre.
Alla fine entrambe sentimmo che non c'era più niente da aggiungere. Qualsiasi parola in più sarebbe stata qualcosa di posticcio che quel momento non richiedeva.
Mi alzai, sentendomi stranamente calma e vuota. Anche lei si alzò pallida in viso, stanca, come una che ha combattuto una battaglia difficile e ha...perso!
Ma che cosa aveva perso? L'ultimo fragile appiglio alla speranza di trattenere una vita che si stava formando? O la sicurezza dei suoi propositi che fino a quel momento l'avevano portata a prendere una decisione estrema? Non riuscii a capirlo, neanche a intuirlo.
"Ti farò sapere qualcosa...però non ti prometto niente!" e con queste parole ci lasciammo.
Il resto della mia mattinata, puoi immaginare da te come passò. Tornata al lavoro,tutti si accorsero subito che qualcosa non andava e non mi domandarono nemmeno il perché del mio ritardo; si limitarono a guardarmi di sottecchi, mentre cercavamo di portare a termine il lavoro lasciato indietro e che fortunatamente loro, vista la mia assenza ingiustificata, si erano affrettati a cominciare, rimandando a più tardi le spiegazioni.
La mattinata si concluse così, lavorando, mentre lentamente mi riappropriavo di me stessa e della quotidianità impellente, che non ci permette mai assenze di lunga durata.
Alle due tornai a casa come tutti i giorni e le cose di ordinaria amministrazione mi ripresero nel loro giro. Preparai, pensando sempre a Daisy, qualcosa da mangiare, senz'altro poco impegnativo, questo anche a distanza di tanti anni, te lo posso dire con sicurezza, perché in quel lungo periodo, le mie entrate erano talmente scarse che si lesinava anche sull'indispensabile. Ti dico questo solo per farti capire che neanche per me quello era stato un periodo bello e forse la cosa mi aveva reso particolarmente sensibile e intuitiva. La vita qualche anno prima, mi aveva messo davanti a una dura prova, o meglio, senza incolpare la vita, io stessa mi ero messa davanti a questa prova, facendo un salto nel vuoto del quale ancora non stavo vedendo la fine, ma il rispetto per la sacralità della vita in me era rimasto intatto come ai bei tempi passati e anche se per un lungo periodo non ho saputo più chi ero e dove stavo andando, istintivamente sentivo che era valsa la pena aver cercato di combattere per quella nuova esistenza.
Verso le quattro suonò il telefono. Neanche per un attimo pensai che potesse essere Daisy. Non conosceva il mio numero che nell'elenco non era intestato neanche a me. Però i suo figli conoscevano i miei. A questo non avevo pensato.
Era lei invece e la sua voce venne fuori sottile, ma diversa da come l'avevo sentita la mattina. Una voce fragile, ma allo stesso tempo più serena e più sicura. Io non riuscivo a parlare
"Ciao....ti volevo solo dire che ho deciso di seguire il tuo consiglio..........Ho già telefonato per annullare l'appuntamento. Lo so che sarà dura, ma stamani tu mi hai ridato la forza di continuare. Il resto lo vedrò dopo.....ora voglio pensare solo ai miei figli, a quelli che ci sono e a quello che verrà!.......Grazie, grazie davvero!"
Io avevo un nodo in gola che non andava né su né giù, e trovai a malapena la forza di dirle:
"Sono contenta, molto contenta!". Non sono mai stata di molte parole nei momenti di commozione, ma forse a onor di giustizia dovrei dire che sono proprio rude....un'istrice..ecco!
"Ti verrò a trovare......posso?" aggiunse Daisy
"Ti aspetto".

Pochi giorni fa è passato davanti a me un ragazzino . L' ho guardato sorridendo e anche lui mi ha guardato, così come si guardano le cose che capitano sulla nostra strada in quell'attimo per poi perdersi nel niente, ed è filato via come il vento. Non mi conosce, non sa chi sono, ma in me, ogni volta che lo vedo, nasce un senso di soddisfazione, perché lui è qui e gioca e salta e corre e cresce e poi avrà come tutti noi i problemi della vita e poi costruirà la sua vita e un giorno la sua mano adulta stringerà una manina mentre lui ascolterà la voce di suo figlio che gli dice: "Dai babbo...andiamo a giocare!".

E con questa fantasia dentro gli occhi oggi mi sono seduta davanti al computer e invece di trattenere questo attimo solo dentro di me, ho cominciato a scriverti.
Dimmi te se questa non è una favola! E quante ce ne sono di favole come questa... e sai, sono proprio queste favole vere che ci fanno dire che nonostante tutto la vita è bella!





2 commenti:

  1. Raramente passo di qui' e leggo , oggi l'ho fatto e sono entrata talmente in questo tuo racconto che mi son venuti i brividi . E' bellissimo ! Ciao Patrizia ( tua cugina )

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  2. Ciao Patty e....grazie. Non so se il racconto sia bello, ma so che è vero e che ogni volta che ripenso a quel giorno, mi sento pervadere da una dolcezza infinita........

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